Nella storia della mia famiglia, la figura di Giovanni Agnelli riveste un’importanza fondamentale: sul finire dell’Ottocento, insieme ad altri, diede vita a una fabbrica di automobili destinata a cambiare il nostro destino e quello di molte altre persone.
La costituzione della Fabbrica Italiana Automobili Torino (Fiat) non fu, in sé, un evento eccezionale. Negli stessi anni, tanti provarono a fare qualcosa di simile. Solo a Torino, fra 1898 e il 1908 vennero fondate 47 fabbriche automobilistiche; 32 a Milano, 8 a Roma, 5 a Genova. Non è facile, oggi, farci un’idea di quel fermento; la cosa più simile che mi viene in mente è forse la scoperta di Internet vent’anni fa. Anche all’inizio del Novecento, una nuova tecnologia promise di cambiare il mondo, rivoluzionare il nostro modo di vivere, lavorare, interagire con gli altri. Ma pochi, pochissimi imprenditori superarono la prova del tempo..
Oggi, a distanza di centocinquant’anni dalla sua nascita, mi sono chiesto: che cosa ha reso Giovanni Agnelli il Fondatore? Che cosa lo ha distinto dagli altri coraggiosi, talvolta geniali, ma effimeri pionieri?
Per trovare la risposta, penso che sia necessario guardare oltre la competenza tecnica e la genuina passione per le competizioni automobilistiche di un giovane ufficiale di cavalleria, che aveva rinunciato alla carriera militare per lanciarsi in un’avventura imprenditoriale incerta ma entusiasmante. Dobbiamo seguire la curiosità e l’ambizione di un giovane uomo che cercava un futuro diverso per la sua azienda, e lo trovò in America. Non l’America dei formidabili grattacieli e dei brulicanti centri urbani, ma quella ciclopica e potente degli enormi stabilimenti che, applicando ingegno tecnologico e nuove forme di organizzazione del lavoro, producevano automobili fatte in serie. Veicoli per tutti, diversi da quelli creati da sapienti mani artigiane per gli acquirenti di prodotti di lusso. “Fare come Ford” non permise solo di ottenere maggiori efficienze nei cicli produttivi: significò mettere Fiat sulla strada dell’automobile come bene di massa, che fu strumento oltre che prodotto di uno sviluppo industriale ed economico di enorme portata.
Osservando le fotografie che sono state conservate dal Centro Storico Fiat per oltre un secolo e che abbiamo voluto rendere pubbliche con questo volume, emerge un altro aspetto che spiega l’unicità della Fiat rispetto alle altre fabbriche automobilistiche dell’epoca. Sin dagli albori, Giovanni Agnelli capì che il successo della sua impresa dipendeva dalla capacità di essere presente sui mercati di tutto il mondo. Quelli vicini, come Francia, Inghilterra, Egitto, ma anche quelli più lontani, come America e Brasile, fino al continente asiatico. Ecco, questa scelta coraggiosa riflette bene la visione del Fondatore: non si accontentò del mercato nazionale, ma volle spingersi oltre, aprendo sui mercati mondiali sbocchi commerciali per le sue automobili prodotte in Italia.
Se la fondazione della Fiat fu un’entusiasmante storia umana e imprenditoriale, la solidità e la longevità dell’azienda e della nostra storia familiare derivano da una serie di decisioni che il Fondatore, divenuto Senatore del Regno d’Italia, prese circa trent’anni più tardi. Nel 1927, infatti, Giovanni Agnelli creò l’ifi, Istituto Finanziario Industriale. Non fu solo un modo per riportare sotto un unico ombrello societario una molteplicità di sue partecipazioni in varie attività fino ad allora separate, tra cui Cinzano, Società Idroelettrica Piemontese (sip), sava, Sestriere ecc.
Con l’ifi il Fondatore aveva creato una holding diversificata, che era più forte dell’insieme delle sue società e che permetteva al contempo di mantenere unita la proprietà. L’ifi rese inoltre concreto e tangibile un principio fondamentale, che Giovanni Agnelli stabilì e che io ritengo tuttora attuale e necessario: la distinzione tra i manager, che gestiscono le aziende con professionalità e competenza, su base meritocratica, e la famiglia, che sceglie la direzione da seguire e stabilisce gli obiettivi di lungo termine. In questo equilibrio tra impresa e famiglia sta il segreto per assicurare stabilità nel tempo a ogni azienda a controllo familiare. Per durare generazione dopo generazione, la sfida più importante è far coesistere in armonia questi due mondi; e anche in questo il Fondatore si rivelò lungimirante.
Giovanni Agnelli diede inoltre prova di generosità nello stabilire legami forti e duraturi con i territori dove le attività delle sue società si andavano radicando col passare dei decenni. Consapevole della responsabilità sociale che ogni imprenditore si assume, insieme a quella economica, fondò istituzioni filantropiche nel campo dell’assistenza, dello sport e delle arti.
Il suo rapporto personale con don Bosco gettò le basi per un sodalizio che è ancora oggi forte e vivo, e vede il mondo della Fiat e quello dei salesiani collaborare in molti paesi attraverso diverse iniziative nel campo dell’istruzione e della formazione professionale. Solidarietà e attenzione alla dimensione sociale del lavoro furono i valori intorno a cui il Senatore costituì la Fondazione Edoardo e Virginia Agnelli, che citò nel testamento, affidandola ai suoi eredi.
Oggi quell’istituzione è confluita nella Fondazione Agnelli e i suoi valori sono tuttora al centro di una visione che continua a ispirare la nostra famiglia, con una particolare attenzione per il mondo dell’istruzione.
A noi, che siamo eredi di una storia imprenditoriale e familiare unica e preziosa, spetta oggi il compito di proseguire ciò che Giovanni Agnelli iniziò. A guidarci resta il suo esempio, ma ancora di più il monito che volle lasciare alle generazioni successive: “Soprattutto bisogna guardare sempre al futuro, antivedere l’avvenire delle nuove invenzioni, non avere paura del nuovo, cancellare dal proprio vocabolario la parola ‘impossibile’.”
Con queste parole si conclude il libro che abbiamo voluto dedicare al Fondatore, nel centocinquantesimo anniversario della sua nascita. Ed è riscoprendo la forza e la carica innovativa di Giovanni Agnelli che la nostra famiglia ha voluto ricordarlo, guardando agli anni e alle generazioni che verranno.
John Elkann